Siamo giunti al primo di maggio, la cosidetta festa dei lavoratori. In questa giornata si sprecano retorica, frasi fatte, moniti e promesse. Tutto puntualmente disatteso. Va detto chiaramente che il lavoro così come lo intendiamo (ovvero in senso classico e romantico), non esiste più. Il lavoro non è più lavoro così come lo hanno conosciuto i nostri genitori, già dalla fine degli anni novanta, quando venne introdotta (ovviamente senza nessuna lotta concreta da parte dei sindacati), la flessibilità. 

Chiamavano così quella che da lì a poco sarebbe diventata precarietà. Un vero e proprio cavallo di Troia, che in nome di un lavoro meno rigido negli orari, ha portato alla fine del lavoro come lo si era sempre conosciuto. Il colpo definitivo e mortale al lavoro, ma anche ovviamente alle pensioni, lo si diede poi con l’introduzione della moneta unica. Da qual momento, nulla è stato più come prima, e sempre più, lavoro fa rima con povertà. Se un tempo bastava uno stipendio per permettere ad un padre di famiglia di portare avanti una famiglia con moglie e figli a carico, oggi occorre lavorare in due, e figli se ne fanno sempre meno.

Oggi (sempre più), lavoro significa povertà, pochi diritti, nessuna certezza. E del primo maggio non resta che il Concertone di Roma organizzato dai sindacati, che ben lontani stanno dalle reali istanze e problematiche dei lavoratori, dei pensionati e dei disoccupati. Sempre al fianco dei governi, mai in campo per una nuova politica salariale, ormai non più rinviabile e che nulla può aver a che fare con i 15 euro in più al mese che il Governo proverà a far arrivare ai lavoratori e ai pensionati.

Davide Zedda

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