Non mi sottraggo dal trattare lo spinosissimo tema della cittadinanza, anche perché si potrebbe giungere a referendum ed ottenere un referendum tale per cui si diventerebbe italiani (questa è la volontà dei promotori) in appena cinque anni di residenza in Italia. Una cara amica sta in Inghilterra da venticinque anni, non ha la cittadinanza inglese. Era giusto un esempio. Ma andiamo avanti. Sempre con un esempio.
Se io (pur con la volontà di integrarmi nella cultura del luogo) sarei un cittadino arabo qualora decidessi di vivere in un paese arabo? E così vale ovunque. La risposta è ovviamente no. Peraltro (inutile girarci intorno) stiamo parlando di persone che per la stragrande maggioranza dei casi non ha nessuna intenzione di integrarsi con la nostra cultura, come possiamo dar loro la cittadinanza dopo cinque anni?
Per di più ribadisco senza la volontà di integrarsi? Ma anche con la migliore delle intenzioni cinque anni non sono sufficienti, ma i promotori del referendum dicono che tutto sommato sono sufficienti nel momento in cui in cinque anni più o meno i richiedenti cittadinanza conoscerebbero certamente la lingua italiana.
C’è chi sta all’estero con perfetta conoscenza della lingua del luogo (esempio Inghilterra) e non ha la cittadinanza. La cultura è altro, non è conoscere la sola lingua. La cultura in questo caso non può essere nozioni (nozionismo).
Posso conoscere a memoria la storia della Cina e parlarne correttamente e perfettamente la lingua ma questo non farà mai di me un cinese. Occorre entrare a far parte di una collettività, viverla per tanto tempo per potermi dire e considerarmi parte di quella cultura e di un luogo. La domanda resta sempre la stessa: perché questa fretta?
La risposta la so secca. Sì vuole distruggere il concetto stesso di cittadinanza e siamo in piena fase di sostituzione etnica.
Davide Zedda
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